La pittura di Raffaello (1483 – 1520) tra naturalezza e grazia

Giornata mondiale dell’arte

Qui è quel Raffaello dal quale, finchè visse, madre natura temette di essere superata e quando morì ebbe paura di spegnersi insieme a lui”.

Così è inciso sulla tomba del sommo pittore di Urbino nel pantheon di Roma e per secoli è stato considerato il massimo pittore di sempre. 

Fin dalla giovane età Raffaello incontrò l’opera dei grandi maestri dell’ambiente artistico urbinate quali Piero della Francesca e il Laurana.

La scuola – bottega del perugino rappresentò il riferimento formativo fondamentale per Raffaello, che iniziò nel 1497 collaborazioni significative per la realizzazione di opere di grande valore.

L’artista nelle opere romane riuscì a sintetizzare la complessità della civiltà rinascimentale.

Nei soggetti allegorici della “stanza della segnatura” si afferma l’aspirazione a un ordine universale derivante dall’armonia delle idee fondamentali del vero, del bene e del bello e rispecchiato dal rigoroso impianto spaziale e compositivo delle scene.

Il ripensamento della tradizione classica coincide con l’accostamento a Michelangelo, mentre la spazialità umbra e il luminismo di Piero della Francesca sfociano in una visione monumentale unitaria.

A Raffaello Sanzio – con un’incredibile quantità di capolavori prodotti in soli 37 anni di vita – nel 2020, nel Cinquecentenario della sua scomparsa è stata attribuita una dichiarazione d’amore a un gigante sempre vivo. 

Raffaello 1483 – 1520 – la più vasta mostra che sia mai stata organizzata sulla sua opera.

In Europa nemmeno la pandemia ha potuto smorzare il clamore della grande mostra romana.

Da segnalare nel 2023 da Hayez a Raffaello “Brera in Humanitas” porta l’arte nei luoghi della cura.

L’iniziativa della pinacoteca di Brera con il centro di cura “Humanitas” di portare ingrandimenti ad alta definizione a tutta parete di capolavori di Raffaello, Piero della Francesca, Hayez. A beneficio dei pazienti e del personale sanitario della struttura ospedaliera costituisce un esempio da ripetere in modo continuativo e permanente nelle varie strutture di cura e non solo, penso anche agli edifici pubblici, quali ad esempio scuole, università, idealizzando così: benessere, accoglienza, educazioneformazione. Che la bellezza generi gioia e che ciò possa svolgere un ruolo terapeutico è patrimonio di conoscenza consolidato e scientificamente provato nel tempo.

Di Raffaello Sanzio ci parlerà approfonditamente il 15/04/2023, nell’incontro programmato, il prof. Roberto Tarasconi già docente di storia dell’arte e vicepreside del liceo artistico “P. Toschi” di Parma.

Aceto Balsamico Tradizionale, l’oro nero del nostro territorio

Aceto Balsamico IGP di Modena e Reggio, prodotto esclusivamente tipico delle nostre zone, ma con origini geografiche e nel tempo lontanissime.
L’uso di cuocere il mosto era diffuso in medio oriente già 3000 anni prima di Cristo ed esiste un dipinto egizio, attorno al 1000 a.e. in cui viene rappresentata questa cottura.
Con i Romani si ha addirittura un verbo specifico per indicare la cottura del mosto “DEFRUTARE“.
Columella, agronomo del I secolo d.c. dice che nella fattoria ideale va inserita una “cella defrutaria” dove il mosto cotto dovrà riposare per essere consumato dopo un anno, quindi con inizio di acetificazione.
Virgilio nelle Georgiche descrive una casa contadina di Mantova in cui una donna cuoce il mosto.
Quell’aceto era certamente diverso da quello che conosciamo per i diversi modi di produzione o per gli additivi eventualmente usati o addirittura per la rivoluzione dei contenitori dell’aceto che con i Romani erano anfore o doli in terracotta, poi con l’arrivo dei barbari sono arrivate le botti di legno.
Altre notizie, nel tempo , ci vengono da Donizzone raccontando che nel 1046 l’imperatore Enrico II chiede a Bonifacio di Canossa quell’aceto che a lui piaceva tanto e che si faceva nella rocca di Canossa.
Molte più notizie scritte ci vengono a partire dal 1598, anno in cui gli Este si trasferiscono da Ferrara a Modena.
La definizione di “Balsamico” compare nel 1747, perché considerato curativo per molti malanni, forse anche per la peste.
Si arriva poi al secolo scorso in cui vengono definiti disciplinari rigorosi e classificazioni di un prodotto che si può presentare con caratteristiche le più svariate, forse dovute anche al fatto che a differenza di altre produzioni tipiche (Grana) non necessita di associare più produttori, ma ogni singola persona può avventurasi nella produzione per sua passione, interesse, voglia, curiosità e ambire ad una propria specificità.

PENELOPE, IPAZIA: le eterne inaspettate

Perché proprio Penelope e Ipazia così diverse, appartenute una alla fantasia del cieco Omero e una alla società reale di Alessandria d’Egitto del IV-V sec. d.C.? Cos’è questa forzatura?
Crediamo proprio che forzatura non sia. Perché riallacciare i fili con il passato più remoto, che affonda anche nel mito, porta a scoperte incredibili, che sanno di scottante attualità, che hanno il sapore dell’oggi più di quanto non sembri, in una suggestione che alimenta la nostra coscienza e la consapevolezza di noi, del nostro  tempo. E in modo inconsueto.
Penelope grandissima tessitrice del filo del tempo “… e intanto Penelope tesse la sua tela…” canta Lorenzo Jovanotti. Questa donna ritarda la morte di Laerte, tiene in vita Itaca, inganna il Tempo facendo e disfacendo la tela. In un mondo di maschi è lei, “la più intelligente tra le donne”, così la definisce Omero, che scandisce il tempo anche per loro, determinati a sottometterla ai loro vizi e soprusi. 

Ipazia invece è reale. Scienziata, matematica, filosofa, astronoma, maestra di pensiero. Ipazia. Donna maestro, cosa inusitata nel mondo greco, è icona del libero pensiero e della laicità. Per questo suo inaudito coraggio fu ferocemente massacrata. Il suo assassinio da parte del fanatismo religioso si può definire il primo femminicidio voluto e vergognosamente perpetrato. Dice qualcosa con le violenze di oggi? Forse sì.

Penelope e Ipazia. Perché sono le eterne inaspettate?  Ce lo dirà in una sua riflessione, la relatrice Angela Marchetti.

Come mai, ci si chiederà, nel mese di marzo, a ridosso dell’8 marzo dedicato universalmente alle donne, come mai si propone un incontro su due figure femminili così lontane nel tempo e nello spazio, così estranee alla nostra cultura e ai problemi che assillano il mondo femminile di oggi inteso non solo in senso sociale, ma anche geografico? Reminiscenze scolasticheFascino per l’antico, suggestioni del mitologico? anacronistico e forzato recupero di immagini e tempi remoti?

Perché proprio Penelope e Ipazia così diverse, appartenute una alla fantasia del cieco Omero e una alla società reale di Alessandria d’Egitto del IV-V sec. d.C.? Cos’è questa forzatura?
Crediamo proprio che forzatura non sia. Perché riallacciare i fili con il passato più remoto, che affonda anche nel mito, porta a scoperte incredibili, che sanno di scottante attualità, che hanno il sapore dell’oggi più di quanto non sembri, in una suggestione che alimenta la nostra coscienza e la consapevolezza di noi, del nostro  tempo. E in modo inconsueto.
Penelope grandissima tessitrice del filo del tempo “… e intanto Penelope tesse la sua tela…” canta Lorenzo Jovanotti. Questa donna ritarda la morte di Laerte, tiene in vita Itaca, inganna il Tempo facendo e disfacendo la tela. In un mondo di maschi è lei, “la più intelligente tra le donne”, così la definisce Omero, che scandisce il tempo anche per loro, determinati a sottometterla ai loro vizi e soprusi. 

Ipazia invece è reale. Scienziata, matematica, filosofa, astronoma, maestra di pensiero. Ipazia. Donna maestro, cosa inusitata nel mondo greco, è icona del libero pensiero e della laicità. Per questo suo inaudito coraggio fu ferocemente massacrata. Il suo assassinio da parte del fanatismo religioso si può definire il primo femminicidio voluto e vergognosamente perpetrato. Dice qualcosa con le violenze di oggi? Forse sì.

Penelope e Ipazia. Perché sono le eterne inaspettate?  Ce lo dirà in una sua riflessione, la relatrice Angela Marchetti a Montecchio Emilia.

La bellezza oggi fonte di un nuovo rinascimento

Bellezza e Rinascimento. Un binomio inscindibile che ci rimanda alla più grande rivoluzione culturale di tutti i tempi. 

Siamo agli inizi del ‘400 (ma già sul finire del ‘300) quando prende avvio una rinascita culturale e artistica che avrebbe raggiunto il suo splendore nella prima metà del ‘500. 

Avrebbe anche, attraverso le sue fasi Umanesimo-Rinascimento, consapevolmente chiuso un’epoca inquieta come il Medioevo (ricca peraltro di cultura e dinamismo, contrariamente a quanto per lungo tempo sostenuto nell’ ottica di una “età di mezzo” tra antichità e Umanesimo) e aperto un’età nuova fatta dalla centralità dell’uomo, nel recupero della classicità, del mondo antico sempre più nella sua interezza culturale, non solo nei suoi modelli formali, ma anche nei suoi valori etici, politici, culturali: una rinascita dunque vera e propria con il protagonismo dell’Uomo

La Bellezza. Per secoli è stata oggetto delle riflessioni di studiosi e filosofi ; spesso si associa la Bellezza ad un ambito puramente estetico, ad un Bello soggettivo, o addirittura ad una dimensione metafisica. 

Oggi gli studi scientifici che si interfacciano con le discipline umanistiche occupandosi anch’essi della Bellezza, hanno dimostrato che nel cervello esiste un Bello oggettivo comune, universale che trova sede in centri e percorsi ad esso dedicati. 

La Bellezza è in grado di attraversare i secoli, i continenti, parla un linguaggio universale. 

Il motivo è anche biologico: di fronte a qualcosa di bello il cervello umano attiva dei meccanismi che le nuove scoperte in ambitoneuroestetico hanno evidenziato

Ma già gli antichi Greci parlavano di “Bello e Buono”, in cui il bello viene associato indissolubilmente alla morale umana e viceversa. Dunque, ora come allora, la Bellezza ha a che fare direttamente con una dimensione etica, intrinsecamente legata a quella politica e culturale.

Oggi viviamo un periodo drammatico di guerre, di violenza, di sopraffazioni, di diseguaglianze. 

Si dovrebbe chiudere quest’epoca di sofferenze e aprirne una nuova di armonia, e di pace.

Dunque, il passo è logico se non proprio breve: se la Bellezza dà speranza, entusiasmo, emozione e forza, per nessun altro l’affermazione del titolo dell’incontro “La Bellezza oggi fonte di un nuovo Rinascimento” è calzante quanto per noi, vissuti per secoli nella Bellezza che ci ha distillato Bellezza,  immersi nello stupefacente patrimonio artistico-culturale- operativo del nostro Paese.  Possiamo “voltare pagina” e affrontare le sfide di oggi in e per un nuovo Rinascimento? 

Ne parliamo, in un imperdibile incontro, con il dott. Gianfranco Marchesi il 25 Febbraio. 

Associazione Culturale Vicedomini-Cavezzi, Bruno Barani, Sala della Rocca, Castello, Montecchio Emilia

Paesaggi sospesi,

dodici piccole opere in esposizione un giorno

Il giorno 11 Febbraio 2023, alle ore 16,30 nel quadro delle iniziative culturali programmate dalla Associazione Culturale “Vicedomini-Cavezzi ”e in piena armonia con gli scopi espressi nel progetto culturale della stessa, si terrà l’incontro con l’arch. Artista Bruno Barani che presenterà “ PAESAGGI SOSPESI” dodici piccole opere in esposizione un giorno, nello spazio adiacente la Sala della Rocca.

La manifestazione pubblica in Sala della Rocca sarà presentata da: Sandro Parmiggiani – critico d’arte e Primo Giroldini – regista.

Bruno Barani nato a Montecchio Emilia nel 1952, risiede nel vicino borgo oltretorrente di Montechiarugolo – PR – dal 1985. Si è laureato in architettura presso l’Università di Firenze nel 1978.

Per comprendere la sua formazione artistica bisogna ripercorrere la sua infanzia e in particolare la sua frequenza delle Scuole Medie di Montecchio, dove ha incontrato insegnanti come William Catellani che ha avuto una grande influenza nello sviluppo della sua sensibilità e del costante avvicinamento al fare artistico, Francesco Spaggiari, uomo di profonda cultura; Maria Teresa Morelli, l’insegnante di Lettere a cui Bruno deve la profonda conoscenza e l’amore per Giacomo Leopardi.

Nella prosecuzione degli studi presso il Liceo Classico “Ariosto”di Reggio E., Bruno ha sempre mantenuto uno stretto rapporto con gli amici e la realtà montecchiese. Questo è continuato anche durante la frequenza dell’Università a Firenze, frequenza quasi interamente effettuata come pendolare giornaliero.

Bruno con la moglie Manuela nel 1982 apre uno studio grafico a Montechiarugolo. Questa è una fase molto importante non solo per l’aspetto umano, fondamentale per la sua vita, ma anche per il felice binomio delle due formazioni artistiche che si incontrano e armoniosamente si fondono.

Dall’elegante catalogo del 1992 -Mostra tenuta a Montecchio -Francesco Spaggiari scrive: ” C’è un’armonia sottile nei grafismi di Manuela e Bruno. C’è una lama di dura luce intellettuale che sta all’entrata nel loro mondo di segni/sogni. I caratteri si allineano, si accorpano, si distendono nella giustezza della comunicazione, nella tranquillità della carta, nella zona luminosa di colore………………C’è, per chi lo sa respirare, il soffio dell’arte”.   

Nella Mostra del 2007 Bruno, ricorrendo alla tecnica, per lui elettiva del Collage ha realizzato profili di città favolose abbinando frammenti di carte di vario colore e texture.

Per definire Bruno Barani Artista vale la pena soffermarsi sui suoi cicli di opere seguendo il filo delle Mostre in cui sono sati presentati.

2017 – Castello Medievale: vengono presentati 2 suoi cicli “ La ricerca lignea” e “Da un gomitolo di spago”, ciascuno costituito da 11 opere.

2017 – La Mostra che si apre successivamente nella Galleria Spazio Aperto di Reggio Emilia presenta dodici collages su carta, fissati e protetti da uno strato di colla vnavil e montati su tavole di bambù.

2018 – Castello di Montechiarugolo : Mostra antologica dei suoi lavori “Orizzonti” come riassunto e riflessioni necessarie prima di proiettarsi verso nuove esperienze.

2019 – Mostra “Profeti in patria presso Casa Cavezzi di Montecchio Emilia.

2022 – Mostra a Palazzo Marchi di Parma “Verso la luce”, 12 Opere 40×30.

Programma 2023 aggiornato:

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